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Un racconto breve, ma molto teatrale...

LA MULTA

     " Ventisette... ventotto e trenta... ecco il suo resto. Arrivederci a presto, signor Martini".
     "Arrivederci."
     Carlo uscì dal negozio, tuffandosi senza un'attimo di incertezza in mezzo alla folla domenicale che invadeva il marciapiedi davanti al suo fornitore ufficiale di cravatte rigorosamente firmate.
     La cravatta era per Carlo la cosa più importante; magari avrebbe fatto a meno della giacca, della camicia, forse anche dei pantaloni: ma della cravatta no. Mai.
Ne aveva di tutti i tipi e per tutte le occasioni: larghe, strette, lunghe, corte, fantasia, tinta unita, da collezione, come quella del milleenovecentoquattro, una vera rarità sottratta con destrezza ad un'asta per sole quattrocentotrenta euro.
     Aspettò con impazienza il verde del semaforo, poi attraversò la strada ancora luccicante di pioggia caduta due ore prima, e si diresse verso la sua Mercedes parcheggiata davanti il caffè Artide.
     Il padre di Carlo era un piccolo industriale; partito dal niente, si era ritrovato ad avere una discreta fabbrichetta di costumi che dava lavoro a circa duecento operaie.
E Carlo, il suo unico figlio alto prestante e biondiccio se ne era ripassate almeno una cinquantina, tanto per tenere fede al suo motto preferito: " Le donne sono come le ciliege. Una tira l'altra."
     Arrivato vicino alla sua auto, si frugò nella tasca destra della giacca, tirò fuori le chiavi e pigiò il pulsante del suo sofisticato antifurto; ma non successe nulla. Premette di nuovo, con più forza.
Niente.
Guardò sbalordito il piccolo apparecchio rosso e nero che stringeva tra le mani, poi guardò l'auto, e pigiò tre, cinque, venti volte; alla fine si decise ad infilare la chiave nella portiera, ma essa entrò solo per metà, rifiutandosi ostinatamente di andare più avanti.
     "Problemi?"
     "No, niente di grave" rispose Carlo al vigile che lo aveva appena avvicinato" Solo che questa maledetta chiave non vuole entrare..."
     "Ha controllato che sia quella giusta?"
     " No, dico, ma è cieco? Non lo vede che è attaccata insieme all'antifurto?"
     " Non si scaldi così, voglio solo aiutarla... è sicuro che questa sia la sua auto?"
Carlo si controllò a stento. Nessuno, mai nessuno si era permesso di mettere in dubbio le sue facoltà mentali, e questo insignificante vigile, questa nullità che passa metà della vita attaccata ad un fischietto ora lo stava veramente infastidendo.
     " Senta, guardia, (Pronunciò quel "Guardia" con un po' troppa ironia, ma non se ne pentì affatto) perché invece di perdere tempo non va a fare qualche multa alle auto in divieto di sosta?"
     " Già fatto. Se questa è la sua auto troverà una bella multa proprio lì, sul parabrezza."
     Carlo non ci vide più. Aveva fretta, la macchina non si apriva e questo cretino con la "c" maiuscola gli aveva appena fatta una multa in un posto dove erano almeno dieci anni che parcheggiava.
     "Bene! Molto bene! E, di grazia, da quando non è più permesso parcheggiare qui?"
     " Da ieri sera, non appena è stato messo quel cartello di divieto di sosta dove lei è appoggiato adesso. Se mi usa la cortesia di alzare gli occhi, lo vedrà, ammesso che conosca la segnaletica stradale."
     Carlo non si era mai sentito così. Non provò vergogna, perché non sapeva che cos'era.
     Provò irritazione, e per un attimo gli si velarono gli occhi, nascondendo quella faccia da schiaffi che sorrideva proprio lì, davanti a lui.
     " Bene! Ha fatto la multa a quella Mercedes? E io sa cosa le dico? Che non è mia! Ha capito? Quest'auto non è mia! Guardi... vado via a piedi... mi guardi!"
     " La sto guardando, ma lei non va da nessuna parte, perché se l'auto non è sua mi deve spiegare cosa ci faceva con una chiave infilata per metà in questo sportello."
     Ora Carlo non ci vedeva davvero più.
     " Maledizione! Quest'auto è mia, ha capito? Mia! Non so per quale maledettissima ragione non si vuole aprire, ma questa è la mia automobile! Una Mercedes nuova di zecca! Mia!"
     " Dunque afferma che quest'auto è sua?"
     " Sì! Mia! Mia!"
     " E allora paghi la multa."
     Carlo si prese la faccia tra le mani, contò mentalmente fino a dieci, poi le tolse e riaprì gli occhi, accorgendosi che intorno a loro si stava formando una piccola folla attratta dal vivace colloquio.
     " Guardi, adesso basta scherzare. Vigile o non vigile, se non si toglie immediatamente dai piedi chiamo i carabinieri."
     " Per quello che mi riguarda può chiamare anche il Presidente della Repubblica. Ma intanto che cerca il numero di telefono mi favorisca i documenti."
     Incredibile! Quel verme lo stava sfottendo! E anche con successo, a giudicare dalle risate della gente...
     Carlo infilò la mano nella tasca interna della giacca con tanta forza che per poco non la sfondò, ma nell'attimo stesso in cui toccò il portafogli il terrore lo assalì: la patente l'aveva lasciata in fabbrica insieme a tutti gli altri documenti, a disposizione della guardia di Finanza che stava effettuando un normale controllo di contabilità.
     "E va bene, vigile, va bene, finiamola qui... dopo tutto lei sta facendo solo il suo dovere... mi dica quant'è questa multa e mi lasci andar via, che ho molta fretta..."
     " Andrà via subito. Ma prima mi favorisca i documenti."
     La folla intorno, che intanto era diventata un'autentica ressa, seguiva la scena come si segue una partita di tennis, e tutte le teste si muovevano in perfetta sincronia, ora a destra, ora a sinistra.
     Carlo fu attanagliato da un sentimento nuovo.
     Una specie di rabbia, ma ingigantita diecimila volte; una rabbia così grande che quando aprì bocca non sapeva neppure lui se l'aveva aperta per parlare o per dare un morso al braccio grassottello e roseo della guardia.
     " Senta, mi faccia fare una telefonata, così chiariamo questo spiacevole equivoco una volta per tutte."
     Ora la guardia non sorrideva più.
     " La telefonata la farà dalla nostra centrale. Mi segua senza opporre resistenza."
     " Cosa? Mi arresta? Ma brutto scemo! E per cosa?"
     " Semplice. Per aver tentato il furto di un'auto, perché è senza documenti e per aver insultato un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Mi segua senza fare storie."
     E in quel preciso istante Carlo non ci vide davvero più.

     Si trovò ammanettato tra due carabinieri, con la folla intorno che tentava di prenderlo per linciarlo.
     Guardava con rimpianto la sua nuova cravatta ancora stretta intorno al collo di una guardia che doveva essere piuttosto morta, vista la posizione assai innaturale con la quale giaceva riversa in mezzo alla strada.
     E mentre i carabinieri lo portavano via, gli parve di udire la sua Mercedes che diceva ad un furgoncino del latte fermo al semaforo:
     " Hai visto che scherzetto gli ho combinato? Così impara a parcheggiarmi in divieto di sosta!"

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